Storia e terapeuticità dell’analisi dei sogni
“La vita si specchia nel sogno” scrive Augusto Romano nel saggio introduttivo al ciclo di seminari sull’analisi dei sogni tenuti da C. G. Jung dal 1928 al 1930, “e questo traendola fuori dal limbo dell’insignificanza, le dà una forma, la modella secondo un destino in cui il sognatore dovrà riconoscersi”.
I sogni, da sempre, influenzano i pensieri e aiutano a risolvere i problemi, tanto da considerare i frutti dell’immaginazione fecondata dal sogno i primi elementi del sapere umano. “I sogni sono la fonte più comune e universalmente accessibile per la facoltà umana di simbolizzazione” (Jung, 1961).
Sognare è un’esperienza universale, tutti gli esseri viventi dormono e tutti sognano. I sogni possono essere fuggevoli frammenti di immagini oppure intere e lente vicende che si costruiscono attorno alla nostra notturna immobilità. Possono essere vuoti e caotici, pieni di volti amici, o dominati da mostri sconosciuti. Possono darci risposte e sicurezza, oppure lasciarci confusi e smarriti.
Un po’ di storia
Il sogno è essenziale nella storia dell’umanità, fondamentale per la sopravvivenza fisica e psichica, per la nostra evoluzione o come motore creativo. Nel XIV sec Ibn Khaldun, storico e filosofo tunisino, descrive il sogno come una delle condizioni indispensabili della società umana, importante come il clima e l’approvvigionamento di cibo.
In ogni epoca e in ogni campo di applicazione, il sogno ha aiutato l’umanità a superare e portare a termine difficili imprese di vita. Si nota come ogni popolo abbia attribuito ai sogni un ruolo o compito specifico, riflettendo in pieno lo status culturale del momento.
Ci si è sempre chiesto quale fosse il significato dei sogni e la logica nascosta dietro la metafora onirica. Il Talmud, testo sacro dell’ebraismo, afferma che i sogni ricoprono un ruolo di fondamentale importanza essendo considerati emanazione del volere divino contenenti messaggi e verità mediate tra l’uomo e il trascendente: “Un sogno non interpretato è come una lettera non letta”.
Il sogno in oriente
La letteratura cinese antica è ricca di riferimenti ai sogni considerati parte integrante della realtà in linea con la teoria buddhista della coscienza e dell’esistenza. Visione che si esprime nel paradosso della farfalla di Chuang Chou, filosofo cinese del IV sec a.C., che sognò di essere una farfalla e svegliandosi di soprassalto, ritrovandosi il solito vecchio Chou, si chiese se fosse stato lui a sognare di essere una farfalla o se fosse la farfalla a sognare di esser Chou.
Tale e paradossale quesito è espresso da diversi filosofi greci, finanche dallo stesso Jung, che in Ricordi Sogni Riflessioni, pubblicazione autobiografica postuma dell’autore, racconta di un sogno in cui camminando per una strada giungeva ad una piccola cappella in cui entrando trovava davanti all’altare uno yogi con il suo volto, svegliandosi impaurito disse “È lui quello che mi sta meditando, ha un sogno ed io sono quel sogno! Sapevo che quando egli si fosse svegliato non sarei più esistito”.
La confusione tra il riconoscimento del reale rispetto all’onirico ebbe un ruolo importante anche nei miti indù, ad esempio, nel Libro di Krishna, si narra l’aneddoto del piccolo Krishna accusato ingiustamente di aver mangiato della terra, la madre Yasoda gli chiese allora di aprire la bocca per verificare se fosse vero e, guardandovi dentro, vide l’intera opulenza della creazione, lo spazio in tutte le direzioni, le terre e i mari, l’insieme dell’ego, i sensi e i suoni, percependo come in quella bocca si trovassero tutti gli esseri, il tempo eterno e la natura materiale e spirituale, vedendo persino sé stessa che allattava il figlio sulle ginocchia. Attonita esclamò “O sto dormendo o mi trovo di fronte all’energia illusoria di Dio”.
Il sogno in altre popolazioni
In alcune culture, invece, il quesito nemmeno si pone, gli Ashanti africani pongono sullo stesso piano sogno e realtà. Per i Pokomani del Guatemala, durante la notte, il corpo rimane dormiente e le azioni vengono compiute dall’anima che si allontana lasciando che il sogno le registri. I San del deserto africano sostengono che c’è sempre un sogno che ci sta sognando, mentre per la cultura polinesiana nei sogni si risvegliava il mana, spirito e potenziale interiore che attraverso il sogno portava informazioni dalle vite precedenti, costituenti la base dell’inconscio collettivo.
Per altri popoli, come gli antichi egizi, la distinzione tra sogno e realtà è netta e a loro si fa risalire l’origine dell’oniromanzia, per loro i sogni erano un mezzo per dare uno sguardo alla realtà più profonda dell’esistenza degli dèi. Lo stesso valse per i popoli Israeliti, che prendevano i sogni come messaggi di Dio e si affidavano ai patriarchi per interpretarli. Un esempio è il racconto presente nel Libro della Genesi, in cui il patriarca Giuseppe, figlio di Giacobbe, è investito da Dio del dono di interpretare i sogni, accusato di mentire venne punito e venduto dai fratelli, continuando a svolgere il suo ruolo di interprete in prigione, un giorno il Faraone lo chiamò al suo cospetto per raccontargli un sogno in cui vedeva sette vacche grasse che risalivano dal Nilo e sette vacche magre che si nutrivano delle vacche grasse, si svegliò e successivamente riprese il sonno in cui, in sogno, gli apparvero sette spighe piene e sette spighe vuote che divoravano quelle piene. Giuseppe allora spiegò al Faraone che l’esperienza onirica era un avvertimento di Dio che sarebbero arrivati sette anni di abbondanza seguiti da sette anni di carestia, e così avvenne.
Greci e romani tra filosofia e divinità
Le divinità, greche, romane o i personaggi biblici, si servivano dei sogni come canale di comunicazione con il divino. Secondo i Greci le divinità visitavano sotto forma di entità il sognatore per comunicarvi. Nell’Iliade, Omero racconta che gli dèi si servivano di sogni mendaci per punire i malfattori. Elaborarono anche dei riti propiziatori per i sogni ai quali attribuivano proprietà terapeutiche, recandosi al Tempio di Asclepio pregando che il dio si recasse loro nel sonno per indurre la cura ai malanni.
Successivamente, alcuni autori come Platone e Aristotele, abbandonarono l’idea che i sogni fossero di ispirazione divina, anticipando la visione moderna della psiche. Aristotele, autore de il Parva Naturalia in cui si occupa sia del sogno che dell’arte divinatoria, sosteneva che se gli dèi avessero parlato agli uomini attraverso i sogni avrebbero dovuto rivolgersi ai più dotati di intelletto, ma avendo tutti la facoltà di sognare, non è possibile che tutti siano in comunicazione con gli dèi; rafforzando così l’idea che i sogni considerati profetici altro non fossero che coincidenze e suggestioni. Con questa speculazione però, Aristotele, non privò l’atto del sognare della caratteristica di ausilio alla vita del sognatore, riconoscendone la capacità di portare indicazioni utili alla valutazione e la cura dello stato di salute psicofisica.
Un precursore della tecnica analitica
Nonostante le posizioni critiche dei due filosofi, nel II sec A.C. presso Artemidoro di Daldi conosciuto anche come Artemidoro di Efeso, accorrevano folle a consultarlo, per la sua arte interpretativa dei sogni. Egli raccolse ed interpretò in cinque libri, l’Onirocritica, più di 3000 sogni, dividendoli in cinque tipi differenti: sogni simbolici o allegorici, sogni profetici, fantasie, incubi e visioni diurne; sottolineando che i simboli e le immagini andavano analizzati nel contesto del sogno e, soprattutto, che il sogno doveva essere interpretato in relazione all’individuo che lo aveva sognato. Prima di quanto si potesse immaginare quindi, vi era già un precursore della tecnica analitica dell’interpretazione e analisi dei sogni che, a differenza dei suoi interpreti contemporanei, non attribuiva significati comuni ai simboli dei sogni, se non con le dovute eccezioni.
Anche se ad oggi non vi è una definizione univoca sullo scopo dei sogni, molti concordano nel credere che certi sogni abbiano influito sulle scelte dei sognatori e che queste abbiano cambiato il corso della storia. Infatti, tanti personaggi hanno ammesso di essersi lasciati guidare dai loro sogni in momenti cruciali della loro vita, come il sogno rivelatore di Cartesio dal quale capì che la scienza e la filosofia dovevano procedere insieme, Robert Louis Stevenson che si fece ispirare per la scrittura del celebre capolavoro Dottor Jekyll e Mr. Hyde, o ancora W. Churchill e i suoi sogni che lo mantenevano in continua comunicazione con le proprie ombre familiari e che lo accompagnarono nella sua carriera. Alla soglia del ‘900, troviamo molti nomi importanti che hanno riferito di avere usato i loro sogni come bussole decisionali, ad esempio Otto Loewi, farmacologo tedesco, attribuì ad un sogno l’esperimento che contribuì alla formulazione della sua teoria sulla trasmissione chimica degli impulsi nervosi, per la quale fu vincitore del premio Nobel per la medicina nel 1936. Dal sogno come strumento premonitore, si passò alla fine dell’800 ad interessarsi scientificamente al fenomeno del sogno.
Nel 1861, K.A. Scherner, pubblicò “La vita del sogno”, apportando un grande contributo alla visione teorica nonché alla funzione simbolica del sogno e connotandosi come fonte di ispirazione per il lavoro di S. Freud. Secondo l’autore, i sogni, si esprimono in un linguaggio simbolico equivalente, ad esempio se si sogna un amico in piedi in mezzo alla neve probabilmente quella persona sarà, per il sognatore, fredda e distaccata. Inoltre, i sogni riportano simboli collegabili alla fisiologia umana.
Freud e Jung
Alla fine dei XIX secolo, S. Freud, iniziò ad interessarsi ai sogni in quanto, dal punto di vista organico, non riusciva a trovare cause effettive ai disturbi accusati dai pazienti, arrivando alla conclusione che, questi, dovessero essere necessariamente di origine psichica e che uno dei modi per giungere ai segreti della psiche, era proprio il sogno.
Come l’analisi dei sogni diventa terapeutica?
Si può dire che il metodo junghiano, attraverso l’esperienza personale auto-analitica, promossa dall’analista, “mira ad accrescere la capacità del paziente di condurre da solo la propria terapia” (Fordham, 1981)
Secondo Jung i sogni svolgono numerose funzioni necessarie allo sviluppo e all’adattamento della psiche, sono un modo per confrontarsi con le esperienze del passato e con i dilemmi attuali e prendere coscienza dei conflitti interni. Il confronto con il sogno è simile all’attività filosofica che tenta di rispondere ai quesiti fondamentali dell’esistenza, ed inoltre non escludeva la probabilità di un’attività onirica continuativa fuori dalla soglia cosciente, anche nelle ore di veglia.
Il sogno permette l’ingresso in sé stessi, aprendo un varco verso le più autentiche inclinazioni ed i possibili pericoli che si incontrerebbero se l’atteggiamento unilaterale della coscienza non ritrovasse l’equilibrio con l’atteggiamento inconscio. Jung, più volte, espone come, un sintomo lieve o grave, una malattia psichica o organica, sono determinati dallo squilibrio esistente tra l’atteggiamento interno e quello esterno della psiche, ed il sogno, essendo endogeno, porta alla coscienza l’avviso in merito allo stato psichico unilaterale.
I sogni si caratterizzano quindi come anticipatori, fornendo precise indicazioni sulla situazione analitica, la cui esatta conoscenza è d’importanza fondamentale per la terapia, hanno quindi il vantaggio di essere autodiagnostici e di render note anche le oscillazioni minori, come l’ago di un sismografo.
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